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Calipso
Sigmund Lipinsky
Calipso, 1924
Acquaforte, bulino e ago su carta
foglio mm. 455x258; battuta mm. 239x144
E' la poesia cercata da Lipinsky era la poesia della nostalgia per l’Arcadia classica, quella Sehnsucht di matrice romantica che era lo stato d’animo del doloroso struggimento relativo all’impossibilità di raggiungere l’oggetto del desiderio. Come per tanti altri artisti dell’epoca, in fuga da un processo di modernizzazione e industrializzazione apparentemente inarrestabile e cinico, le plaghe selvagge della campagna romana e dell’Agro Pontino, costellate di pini e cipressi, rovine e ninfei abbandonati, erano gli scenari ideali per evocare il mito antico con i suoi centauri e i suoi fauni. Così come il nostro Cambellotti aveva intravisto nei contadini laziali gli ultimi fieri rappresentanti delle antiche genti latine, allo stesso modo Lipinsky amò immaginare nelle abitanti di Terracina e nelle terellane le discendenti dell’antica stirpe ellenica, tanto da effigiarle talora come cariatidi greche (nei bozzetti per La vendemmia, in mostra), talatra severe come dee, o parche, oppure nude creature in un paesaggio primigenio e idilliaco, o tramutando le pieghe degli abiti popolari di quelle contadine in panneggi greci.
Calipso, 1924
Acquaforte, bulino e ago su carta
foglio mm. 455x258; battuta mm. 239x144
Calipso.
1924. Acquaforte, bulino e ago mm. 239x144. Foglio: mm. 455x258. Lipinsky, 1940, n. 22; Grochala, 1995, n. 23. Firmata a matita in basso a destra. Tiratura in prova d'artista, avanti il numero. Terza tavola tratta dal ciclo Odissea, serie di 8 incisioni eseguite fra il 1923 ed il 1928 ed edite a Monaco di Baviera da Franz Hanfstängl nel 1929.E' la poesia cercata da Lipinsky era la poesia della nostalgia per l’Arcadia classica, quella Sehnsucht di matrice romantica che era lo stato d’animo del doloroso struggimento relativo all’impossibilità di raggiungere l’oggetto del desiderio. Come per tanti altri artisti dell’epoca, in fuga da un processo di modernizzazione e industrializzazione apparentemente inarrestabile e cinico, le plaghe selvagge della campagna romana e dell’Agro Pontino, costellate di pini e cipressi, rovine e ninfei abbandonati, erano gli scenari ideali per evocare il mito antico con i suoi centauri e i suoi fauni. Così come il nostro Cambellotti aveva intravisto nei contadini laziali gli ultimi fieri rappresentanti delle antiche genti latine, allo stesso modo Lipinsky amò immaginare nelle abitanti di Terracina e nelle terellane le discendenti dell’antica stirpe ellenica, tanto da effigiarle talora come cariatidi greche (nei bozzetti per La vendemmia, in mostra), talatra severe come dee, o parche, oppure nude creature in un paesaggio primigenio e idilliaco, o tramutando le pieghe degli abiti popolari di quelle contadine in panneggi greci.

